
No, non ci sono delle banane infette dall’Aids, nemmeno delle arance; non ci sono neanche delle siringhe infette da HIV nelle pistole del carburante delle stazioni di servizio, e no, nessun “immigrante” ha trasmesso la malattia ai membri della Polizia di Stato quest’estate né nessun’altra. È incredibile che oggi, che abbiamo tutta l’informazione (e la disinformazione) a portata di mano, ci siano ancora delle persone che credono alle frottole e alle bufale e che persino le diffondono, il che contribuisce soltanto a perpetuare le apprensioni, le diffidenze, e perché non dirlo, la stupidità senza limiti. Il mese di Marzo 2019 ha segnato il 25 anniversario della premiere di Philadelphia, il film che ha dato un volto alla malattia (e nientemeno che quello di Tom Hanks) e che ha contribuito a renderla visibile, a capire meglio come agisce il virus e a capire anche i pregiudizi e il rifiuto che i malati hanno dovuto affrontare.
“Il cancro gay”, come l’hanno chiamato nei primi anni '80, ha costato la vita a migliaia di persone senza che i medici siano stati in grado di fare nulla per evitarlo. L’ignoranza e la paura (una combinazione molto pericolosa) davanti a un virus che continuava a propagarsi, ha portato alla costruzione di muri contro i malati. Così l’ha descritto Denzel Washington nella sua dichiarazione per difendere, davanti a una giuria popolare, che Andrew Beckett (Tom Hanks) era stato licenziato perché malato di Aids. “Così, hanno fatto ciò che molti di noi vorrebbero fare con l'Aids, cioè scaraventarlo con tutti quelli che ne sono affetti il più lontano possibile da noi. Il loro comportamento può sembrarvi comprensibile, lo è anche per me. Dopo tutto, l'Aids è una malattia mortale, incurabile” ha detto, “ma quando hanno licenziato Beckett perché aveva l'Aids, hanno infranto la legge”. L’argomento della difesa è stato ancora più chiarificatore: “Andrew Beckett sta morendo. Andrew Beckett è arrabbiato perché il suo stile di vita e la sua condotta sregolata gli hanno accorciato la vita”. Ma guarda un po’, così, senza mostrare emozione alcuna e senza menare il can per l’aia. La condotta sregolata di cui parlava, era, certo, l’omosessualità.
Quando l’Aids ha cominciato a colpire anche gli eterosessuali, ha perso (almeno in parte) quella connotazione di malattia da “froci” e da “tossici”. La morte di certe celebrità, come l’attore Rock Hudson o il musico Freddie Mercury ha contribuito a far capire che non c’era un solo prototipo di persona infetta e che i malati appartenevano a diversi gruppi culturali. Oggigiorno, ci sono due situazioni molto diverse. L’Aids uccide 4.000 persone al giorno in Africa, non c’è ancora un vaccino e circa il 40% degli individui affetti a livello mondiale non sanno di aver contratto il virus. Tuttavia, con la terapia appropriata, tutte le persone sieropositive, cioè, il 100%, controllerebbero l’infezione e la malattia diventerebbe cronica.
Ma, continuiamo a puntare il dito verso i malati d’aids?
Il ruolo degli attivisti è stato essenziale e ha contribuito alla conoscenza della malattia e a renderla meno drammatica. Dopo essere stato diagnosticato come portatore dello HIV nel 1988, l’artista newyorkese Keith Haring ha lanciato una fondazione e ha fatto suo il motto: “Insieme possiamo fermare l'Aids”. Il tema delle sue opere si è inasprito e le sue forme figurative hanno cominciato a rappresentare non solo l’infanzia, il sesso e la morte, ma anche l’aids. L’impegno sociale e la consapevolezza del sesso sicuro sono stati i suoi due mantra da allora. Perciò, oggi, la sua fondazione collabora con la marca di sex toys Tenga, tramite diversi design specificamente progettati per difendere l’idea che il sesso e la ricerca del piacere non dovrebbero essere imbarazzanti. Una parte delle entrate di Tenga, derivanti dalla vendita dei modelli concepiti dalla fondazione di Haring, viene donata alla JFAP, o Japan Foundation for AIDS Prevention (Fondazione Giapponese per la Prevenzione dell'Aids).
Lo stigma e i pregiudizi si combattono soltanto con l’educazione e la conoscenza, e a quanto pare, non ne abbiamo abbastanza. Altrimenti, le persone sieropositive non sarebbero discriminate dalla società italiana, non verrebbero, ancora oggi, inseriti per ultimi nella lista degli appuntamenti nell’ambito sanitario e non sarebbero respinti da certi stabilimenti balneari. E ancora più sorprendente, ci sono ancora alcuni paesi nel mondo che restringono l’ingresso e la permanenza sul loro territorio di persone sieropositive. A questo punto, tutti dovremmo sapere che una persona con HIV, che segue regolarmente la terapia, non trasmette il virus, neanche senza un metodo di protezione.
In EroticFeel facciamo nostro il motto di Haring: “Insieme possiamo fermare l'Aids”.